Punta Trento e Punta Trieste

Un bell'anello sulle montagne del Velino


In ferie, finalmente in ferie, approfittiamo subito per fuggire in montagna, manchiamo tanto dal Velino e soprattutto risentiamo il bisogno di ritornare sulle vecchie tracce di un anello che abbiamo compiuto un po’ di tempo fa e di cui non abbiamo un bel ricordo. Anche il meteo è dalla nostra parte, dopo uno dei tanti periodi afosi e anomali di questa estate caldissima è prevista una “ventata” di aria fresca, per cui non ce lo facciamo ripetere due volte. Il progetto: dai Piani di Pezza, parcheggiando come al solito in fondo alla piana, aggirando la radura verso sinistra e puntando in direzione di Cole delle Trincere, andremo ad intercettare le tracce di sentiero che salgono nella valle tra la Castelluccia ed il Costone della Cerasa, fino al vado di Castellaneta, da qui saliremo alla cima di Capo di Pezza e per cresta toccheremo punta Trieste e successivamente punta Trento, raggiungeremo Colle dell’Orso e da lì traverseremo fino al rifugio Sebastiani dove contiamo di fermarci per pranzare, la discesa per il classico sentiero che entra in Valle Cerchiata e scivola via, attraverso il bosco, fino al punto di partenza. E’ il nostro destino, ma anche da Ascoli dove siamo in vacanza, l’avvicinamento non è immediato, un po’ più di due ore di auto non ce le toglie mai nessuno, superato Rocca di Mezzo giriamo a destra prima dell’ultima rotatoria per arrivare alla sella dei piani di Pezza, l’accesso alla piana è come tutti gli anni l’incognita principale, non si sa mai come l’ultima inverno abbia lasciato la strada, ma come tutti gli anni nulla è cambiato e l’accesso, su brecciata sconnessa e a tratti molto brecciosa è solo lento. Ci sono altre auto già parcheggiate, altre ne arrivano pochi istanti dopo, per fortuna tutti prendono per il sentiero più classico che sale alla Valle Cerchiata/rifugio Sebastiani, pochi metri dopo il bivio dei sentieri siamo magnificamente da soli, in fondo alla valle stiamo andando incontro al bosco e alla dorsale che sale al colle delle Trincere, oltre e sopra la fascia verde del bosco quella grigia con i profili delle montagne, della Cimata del Puzzillo, del Costone e di colle dell’Orso, sopra ancora, un cielo azzurro, libero da nubi, di un azzurro accecante che di più non si può. Se questo non è il paradiso ditemi voi cosa può essere. Seguiamo delle tracce di auto tra la radura, superano e aggirano il bosco verso sinistra, l’abbandoniamo ad un certo punto tagliando ed inoltrandoci nel bosco, una sorta di tunnel tra gli alberi ci fa intravedere dall’altra parte una radura dove intercettiamo di nuovo la traccia delle ruote su una prateria ora molto più stretta. Una lingua erbosa, dopo aver aggirato a sinistra il bosco ritorna verso Sud, lasciando a destra il colle delle Trincere, qui boscoso e anonimo perchè la costa della cima rocciosa è coperto; davanti un’altra elevazione boscosa, la Castelluccia, che oltrepassiamo e aggiriamo ancora sulla destra infilandoci nella valle dove sappiamo esserci il sentiero che dobbiamo seguire. All’imbocco della valle, coperta tra la boscaglia qui abbandonata a se stessa e bassa, sappiamo esserci i ruderi di un vecchio e diruto serbatoio d’acqua con annessa fontana, riusciamo ad intravederne il muro a secco ormai quasi rovinato a terra dopo pochi passi nella boscaglia, accanto passa il sentiero che da lì in poi diventa ben tracciato e a tratti anche segnato. Iniziamo a salire all’interno del fosso, poi di lato ed infine dentro il bosco per larghi tornanti e per circa un’ora, prima di uscire nelle praterie sotto le ripide pareti del Costone delle Cerase. All’uscita dal bosco la sella di Castellaneta, nostro accesso in cresta, è solamente intuibile, le tante dune di questa ampia conca la nascondono alla nostra vista, per poco perché dopo aver aggirato la prima alta altura erbosa, entrando nell’altopiano sommitale della valle, tutta la cresta che dovremo percorrere si scopre, dal vado di Castellaneta alla Cima di Capo di Pezza appena sopra, fino a Punta Trieste; salendo lenti, scorgiamo intorno ad un roccione poco lontano dal sentiero, una folta “fratta” di lamponi, da non crederci spoglia, mi inoltro incurante di quanto sia fitta e dopo la prima barriera di arbusti, gli altri, nascosti, sono piegati per quanto sono carichi, inutile dire che la sosta è stata lunga e che siamo riusciti a fare una ricca e dolce merenda. Riprendiamo il sentiero che rimane marcato ancora per poco come per poco del resto rimangono evidenti anche i segnali bianco rossi; non ci rallenta la cosa, ormai si continua a vista e su linee che scegliamo di volta in volta. Arrivati sul Vado di Castellaneta si apre davanti la solitaria valle della Genzana che scende sul versante opposto e tutta la cresta fino al monte Magnola, la solitudine è assoluta, non c’è nessuno in giro, nemmeno sulle creste lontane. La salita al Capo di Pezza, se pur ripida è breve, tagliamo lo spigolo sulla sinistra e arriviamo in vetta dopo averla aggirata; quando ti affacci da questi versanti impressiona sempre per la sua ruvidezza la profonda ed enorme valle Majelama che sfila e si assottiglia proprio sotto di noi nella valle del Bicchero, di fronte, sfila imponente, la lunga dorsale delle montagne del Velino, con le tre quasi gemelle, Cafornia, Velino e Sevice anticipate dalla più bassa e altrettanto rocciosa dorsale dove svetta la bella e sottovalutata cima di Punta Avezzano (non riportata sulle carte). E’ un tutt’uno di roccia grigia, di ghiaioni, di ripidi costoni, una continuità impressionante cui solamente un occhio allenato riesce a distinguere ogni singola montagna e le due distinte dorsali. La lunga cresta fino a punta Trieste viaggia con leggeri dislivelli, si gode sempre di un panorama di prim’ordine, fino al Gran Sasso, il Velino e la valle Majelama sono sempre una costante, solo l’ultimo tratto fino in vetta è leggermente più ripido, sempre facile comunque. La vetta di punta Trieste è priva della onnipresente croce, un ometto di pietre ed un palo di legno non ne sanciscono minore dignità; c’è invece la solita pietra scritta col pennarello nero cui ormai siamo abituati in Appennino, quasi ce ne fosse bisogno ci assicura che siamo sopra Punta Trieste, 2230 mt. Punta Trento è la piramide che abbiamo di fronte continuando verso Nord, in mezzo una profonda sella che obbligatoriamente dobbiamo prima scendere e poi risalire; precipitiamo sulla sella, senza una traccia ben definita di sentiero, punta Trento da qui è una bella alta piramide, si inizia a salirla prima integralmente sull’ampia cresta, poi si traversa leggermente sotto, a destra, verso Ovest, con alcuni belli e semplici passaggi tra rocce, quando si ritorna in cresta la vetta è vicina, gemella della precedente, nessuna croce, un ometto ed un palo di legno e la pietra che sancisce in un bel nero marcato, punta Trieste 2243 mt. Cambiano un po’ le prospettive, l’orizzonte si apre a Nord verso il Costone e verso la val di Teve, l’imponente “cordigliera” del Velino, tanto è grossa, sembra immutata come se non avessimo cambiato punto di osservazione. Per continuare verso il rifugio Sebastiani non abbiamo più grandi dislivelli da coprire, traversiamo verso Ovest in direzione del Bicchero, e poi scendiamo repentinamente a destra per una cinquantina di metri verso il colle dell’Orso. Da qui guardando avanti sono evidenti i due lunghi traversi sotto il Costone che ci porteranno al Sebastiani, quello basso che risale alla fine, e quello alto che viaggia più piatto ma che inizia un po’ più alto del primo. Decido fin da ora di percorrere quello più alto fissandomi l’imbocco del traverso accanto ad una grossa pietra sullo spigolo dove inizia la salita al Costone. Seguo la cresta del colle dell’Orso su un bel tracciato molto evidente gustandomi la profonda val di Teve che ho di fronte e chiedendomi per l’ennesima volta quando arriverà il mio momento per conoscerla. Non c’era bisogno di tanta premura nel fissare punti di riferimento, giunti nei pressi della pietra che mi ero memorizzato, due segnali molto evidenti, frecce enormi e scritte, indicano altrettanti imbocchi per la Duchessa ed in rifugio, segnali essenziali ma efficaci, per tutti il primo è il lago della Duchessa mentre il secondo è inevitabilmente il Sebastiani. Il traverso è veloce e facile, come si scavalla la dorsale che scende dal costone il rifugio compare, stracolmo di gente, scopriremo che era in corso in questa splendida cornice, la presentazione dell’ultimo libro a cui ha collaborato Stefano Ardito. Mangiamo all’interno del rifugio, fuori è molto affollato e fa un po’ fresco, si è alzato un teso venticello. La discesa per chiudere l’anello è per il più tradizionale e battuto sentiero che scende ai Piani di Pezza, il n° 1 sulle carte, anche questa volta come tutte le volte che son passato di qui non sono riuscito a resistere, prima di iniziare la discesa mi sono fermato per godere del panorama che si scorge da questo strategico balcone, da Nord-Est verso Sud-Est il catino della piana del Puzzillo, fin quasi a Campo Felice, è interrotta dall’affilata lama della Cimata del Puzzillo, che come l’incisione di uno specchio rotto, taglia in due il quadro di assieme, restituendo dall’altra parte, quasi fosse riflessa, una immagine del tutto simile col catino della piana di Pezza che completa un armonico paesaggio; inutile dire che mi sono portato a casa altre fotografie di questo angolo di Appennino. Il sentiero scende prima dentro un canale breccioso poco pendente, poi all’interno di boscaglia con strette svolte per entrare nella valle Cerchiata, da lì si entra dentro un bosco alto, la pendenza si attenua e il sentiero diventa ampio e facile da percorrere perché formato da un cuscino di foglie morbido. Stavolta ci siamo goduti questo bellissimo anello, la volta precedente eravamo scesi dentro valle Cerchiata, stavolta siamo passati per il rifugio allungandolo leggermente. Temperatura fresca, cielo limpido e panorami vasti, il resto la ha fatto il Velino, sempre una bella montagna da frequentare per passare una bella giornata.